Milano, Casa dell’Energia e dell’Ambiente. Non è sicuramente casuale, la scelta della location che ha fatto da sfondo al convegno: “Deindustrializzazione, trasformazioni e rigenerazioni.” Si tratta di un ex sottostazione elettrica, trasformata in luogo di informazione sull’energia.
6 ore di workshop, in cui sono state presentate voci e punti di vista, che hanno affrontato il tema declinandolo nelle sue diverse sfumature. E’ stato adottato un approccio di analisi multidisciplinare; infatti, si tratta di una tematica che coinvolge architetti, ingegneri, sociologi, storici della cultura, fotografi etc.
Si è trattato di un viaggio metaforico per l’Italia, le tappe sono state alcuni dei luoghi chiave che hanno reinterpretato i vuoti lasciati dalle fabbriche. Partendo da Torino con il caso Mirafiori, si è arrivati in lucania con il fenomeno Fiat; passando per Gaggio Montano con la sua Saeco, Roma e il caso Voxson e tanti altri.
Il punto focale di ciascuna discussione, è stato il rapporto tra industria e i territori; di primaria importanza è stato comprendere i fenomeni legati alla deindustrializzazione, per instaurare un futuro proficuo e sostenibile con i cittadini.
Gilda Zazzara, ha presentato il caso di Porto Marghera e della sua deindustrializzazione, avvenuta attraverso un processo cronologicamente differito nel tempo.
Se ne è dedotto che Venezia, risulta molto arretrata, rispetto allo scenario europeo, in merito alle strategie di industrial heritage. In questo caso la deindustrializzazione è frutto di un fallimento che si espande su più fronti:
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- deindustrializzazione da un punto di vista demografico. Da 40.000 operai all’apice dello sviluppo, si è arrivati a 11.000, di cui solo 4000 impiegati nel campo industriale.
- deindustrializzazione dal punto di vista mediatico. Es. l’abbattimento dello stabilimento torcia CV22, era risultato molto complicato, tanto che dai giornalisti venne interpretato come resistenza della vecchia Marghera. Oppure altro esempio,avvenuto a seguito dell’istituzione di un comitato ufficiale per il Centenario nel 2016, in cui il termine “deindustrializzazione” sembra un tabù per i giornalisti. E’ avvenuta una trasformazione dal punto di vista semantico, preferiscono utilizzare parole come rilancio o re-industrializzazione.
- deindustrializzazione come geografia del silenzio e della memoria, assenza di pratiche atte a valorizzare il patrimonio industriale. A Venezia non è presente nessun simbolo unificante della storia della città. E’ assente una comunità urbana, il territorio presenta difficoltà con la vicina Venezia, che si conforma come protettrice del patrimonio storico e si scaglia contro le brutture estetiche delle fabbriche, oltre che etiche.
Altro caso significativo di come non si fa memoria, è stato il caso di Cividale, con l’area ex Italcementi, presentato da Ariella Verrocchio.
A seguito della cancellazione del sito, a favore della costruzione di una Banca, la studiosa ci parla di un progetto che ha visto intervistati gli ex lavoratori della fabbrica, a seguito della demolizione. Uno di loro le dice: “E’ troppo tardi per fare i romantici”, ne emerge un racconto sulla distruzione della ciminiera, vissuta in maniera traumatica.
Attualmente si è conservata in una rotonda antistante il nuovo edificio, la ruota da forno rotante. Il caso significativo ha creato disagio e rancore, ha creato una soluzione che ha diviso in due la città e non ha portato benefici (c’erano due schieramenti a riguardo della demolizione della ciminiera o della salvaguardia).
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Fonti:
Convegno “Deindustrializzazione, trasformazioni e rigenerazioni”, Milano, 4 Ottobre 2017
Approfondimento: